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Il tira e molla mondiale
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Global Fixed Income Bulletin
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febbraio 20, 2025
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febbraio 20, 2025
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Il tira e molla mondiale |
Gennaio si è rivelato un mese discreto per gli investimenti obbligazionari. I primi giorni del mandato presidenziale di Trump hanno alzato il livello di incertezza sui mercati globali. Tuttavia, a fronte della prevedibilità dell’evento, i movimenti significativi del mercato sono rimasti minimi. I dati economici continuano a svolgere un ruolo determinante e la divergenza tra le condizioni economiche e le politiche delle banche centrali è diventata sempre più evidente, con l’economia statunitense che sembra confermarsi leader in tutto il mondo.
Nel mese, i rendimenti dei titoli di Stato dei mercati sviluppati hanno evidenziato performance contrastanti. Il rendimento dei Treasury USA a 10 anni è sceso di 3 punti base, mentre in Canada e soprattutto nel Regno Unito si sono verificati cali più marcati. I rendimenti sono invece saliti in Giappone, Germania, Australia e Nuova Zelanda. Nel mese, i rendimenti dei mercati emergenti si sono mossi generalmente al ribasso e, specificamente, Messico e Brasile sono scesi rispettivamente di 34 pb e 36 pb.
Le quotazioni del dollaro hanno mostrato variazioni molto limitate nel periodo in esame, mentre lo yen giapponese e la corona norvegese hanno conseguito le performance migliori nell’area dei mercati sviluppati. Al contrario, la sterlina britannica e il dollaro canadese hanno accusato il maggior deprezzamento. Nel complesso, le valute dei mercati emergenti hanno evidenziato performance generalmente migliori.
Sul fronte societario, le obbligazioni societarie investment grade denominate in euro hanno sovraperformato le omologhe statunitensi, mentre nel settore high yield le obbligazioni statunitensi hanno superato quelle in euro. Nel corso del mese, gli spread di entrambi i settori societari si sono ridotti. Nei mercati dei titoli cartolarizzati, gli spread del credito hanno continuato a comprimersi, mentre gli spread dei titoli garantiti da ipoteche di agenzia sono rimasti sostanzialmente invariati.
Prospettive per il mercato obbligazionario
I mercati si trovano ora dinanzi a una sfida ben precisa: diventare abili nel decifrare il modus operandi e gli obiettivi finali del Presidente Trump, dato il ritmo serrato con cui ad oggi sono state emanate, per poi essere annullate o rinviate, le misure in materia delle varie politiche. Nei primi giorni del mandato, l’amministrazione ha manifestato l’intenzione di realizzare quante più promesse elettorali possibili, con una raffica di ordini esecutivi. Inizialmente i mercati si erano mostrati soddisfatti del fatto che le prime iniziative si fossero concentrate sull’immigrazione e sull’efficienza del governo, evitando i dazi doganali. Purtroppo, quella tregua non è durata a lungo. L’ultimo giorno di gennaio, il Presidente Trump ha annunciato un “dazio universale” del 25% con effetto immediato su tutti i prodotti messicani e canadesi, con una riduzione del 10% per l’energia canadese e un’ulteriore dazio del 10% sui prodotti cinesi. Sebbene le dichiarazioni fatte in campagna elettorale avessero indicato la volontà di adottare un atteggiamento aggressivo sul fronte dei dazi, i mercati sono stati comunque colti alla sprovvista dall’annuncio, scossi dall’entità delle imposizioni e dalle tempistiche delle date di entrata in vigore. Fortunatamente, ma non c’è da stupirsi, Messico e Canada sono riusciti a disinnescare il rischio immediato e a negoziare con l’amministrazione statunitense il rinvio dell’attuazione, posticipandola di un mese. Sebbene l’aumento dei dazi doganali cinesi resti sul tavolo, questo di per sé non è sorprendente o eccessivamente preoccupante, dato il desiderio del governo degli Stati Uniti di “sganciarsi” dalla Cina.
Malgrado un gennaio tutto sommato positivo per i mercati finanziari, in cui è stata superata l’ansia intorno alla nuova amministrazione statunitense, il futuro rimane alquanto incerto. Ciò che complica la situazione è il fatto che l’economia statunitense sia in pratica “atterrata”. Con questo si intende dire che al di là di tutti i discorsi sul radicamento dell’inflazione e sull’incipiente rischio di una recessione, l’andamento dell’economia si è dimostrato straordinariamente stabile. È possibile che la crescita abbia raggiunto un nuovo equilibrio a un livello più elevato, diciamo un 2,5% di crescita reale e un 2,5% di inflazione, con un mercato del lavoro stabile e in piena occupazione. E le politiche della Federal Reserve (Fed) potrebbero aver portato, in virtù di perizia e/o buona sorte, al tasso di interesse appropriato per preservare tale stabilità. Quindi, se tutto sembra andare per il meglio per l’economia statunitense (con o senza ulteriori tagli dei tassi), l’ardente desiderio del presidente di stravolgere le politiche commerciali e innescare un potenziale cambiamento nelle politiche della Fed non è positivo per i listini, le cui valutazioni, stando alla maggior parte dei calcoli, sono già corrette o addirittura eccessive, sia per quanto riguarda il credito che per le azioni. Fuori degli Stati Uniti, i rendimenti dei titoli di Stato a 10 anni nella maggior parte dei paesi sembrano adeguati, considerando l’andamento dell’economia e delle politiche. Secondo un vecchio detto, i cicli economici non muoiono di vecchiaia, ma vengono “assassinati”, in genere da shock riconducibili a errori politici, eventi esogeni o bolle speculative. In questo caso, i prezzi di mercato di tutta una serie di attivi dipendono dall’assenza di errori sul versante delle politiche. L’attenzione apparentemente incessante dell’amministrazione Trump su immigrazione e commercio fa crescere il rischio che le politiche possano sconvolgere l’attuale equilibrio. Ciò detto, i rendimenti dei Treasury USA a 10 anni rimarranno presumibilmente entro un certo intervallo, ferme restando le avvertenze indicate.
L’interrogativo fondamentale è se l’amministrazione Trump sarà in grado di attuare le politiche previste senza causare una contrazione dei listini. Inizialmente, la reazione del mercato alla vittoria di Trump è stata positiva. Si pensava che, sebbene le politiche sul fronte del commercio e dell’immigrazione non fossero favorevoli alla crescita e alla riduzione dell’inflazione, sarebbero state compensate da altri fattori positivi nel paniere delle politiche (deregolamentazione, sgravi fiscali) che, nel complesso, avrebbero giovato all’economia. Questa ipotesi viene ora messa in discussione poiché l’amministrazione sta implementando prima le componenti economicamente negative del paniere delle politiche, mentre gli elementi pro-crescita richiedono più tempo per l’effettiva attuazione e pertanto il loro impatto viene ritardato. Inoltre, data la risicata maggioranza repubblicana al Congresso, è difficile prevedere con certezza quanta parte del programma pro-crescita verrà approvata. E, per quanto riguarda specificamente le politiche commerciali, non ne conosciamo ancora gli obiettivi finali. L’amministrazione ha definito tre obiettivi: (1) stabilire uno strumento di negoziazione per raggiungere altri obiettivi, ad esempio il contrasto al traffico di stupefacenti e all’immigrazione illegale; (2) raccogliere denaro, sia per coprire altri sgravi fiscali sia per spenderlo altrove; e (3) ridurre la dipendenza dagli scambi commerciali per passare a un’economia più autarchica. Non vi è ancora chiarezza in merito a quale di questi obiettivi sia il più importante per l’amministrazione. Tale incertezza creerà difficoltà per gli investimenti nei prossimi mesi, man mano che si paleseranno le “vere” mire dell’amministrazione.
Quali sono le implicazioni di tutto questo per le politiche monetarie? L’incertezza riguardante i dazi rende meno certa anche la politica monetaria statunitense. I dazi – e quelli decisi dall’amministrazione Trump potrebbero essere molto elevati – dovrebbero essere considerati alla stregua di un’imposta sui consumi (come l’imposta sul valore aggiunto, o IVA, applicata in gran parte del mondo) il cui effetto è quello di uno shock negativo sull’offerta. Per l’economia statunitense si tratterebbe di uno shock suscettibile di ridurre la crescita e di incrementare l’inflazione, mentre l’aumento delle incertezze potrebbe, da solo, mantenere l’inflazione più alta di quanto non sarebbe altrimenti. Un simile scenario potrebbe indurre la Fed a muoversi con prudenza in merito a ulteriori tagli dei tassi. Sebbene fossimo scettici sul fatto che la Fed avrebbe effettuato due tagli dei tassi nel 2025, questa eventualità era rimasta una possibilità concreta. Ora due tagli sembrano essere ancora meno probabili e, nell’ipotesi che i dazi vengano implementati (un’imposta a tappeto del 10% non dovrebbe essere troppo distante dai proclami e dagli obiettivi dell’amministrazione), l’impatto potrebbe indurre la Fed a interrompere del tutto le riduzioni dei tassi. Ma in gran parte degli altri paesi è vero il contrario. Come abbiamo visto con il Canada, il mercato ha immediatamente inglobato nei prezzi ulteriori e imponenti tagli dei tassi per compensare l’impatto deflazionistico dei dazi sull’economia canadese. Questo tasso di risposta relativo suggerirebbe, in apparenza, una preferenza per i titoli di Stato non statunitensi (ad eccezione del Giappone, la cui banca centrale sta aumentando i tassi a prescindere). Tuttavia, le crescenti difficoltà dell’economia mondiale e il probabile rafforzamento del dollaro solitamente si traducono in un calo dei prezzi degli asset rischiosi e, cosa importante, in una riduzione dei rendimenti dei Treasury USA. Se si escludono queste forze, rimaniamo leggermente sottopesati nel rischio di tasso di interesse statunitense rispetto al resto del mondo. Data l’incertezza circa gli esiti sul fronte dell’economia e delle politiche, riteniamo che per il momento la scelta più sensata sia quella di adottare una strategia prudente in materia di tassi di interesse.
I mercati del credito hanno vacillato, sebbene in misura contenuta, in seguito alla notizia dei dazi, ma hanno rapidamente ritrovato il loro equilibrio, a comprova dei fondamentali ancora solidi alla base del credito. A fronte di un futuro più incerto e valutazioni elevate, riteniamo che sia prudente essere cauti. Resta il fatto che – forse a maggior ragione vista l’incertezza che circonda l’amministrazione Trump – difficilmente gli spread si ridurranno di molto rispetto ai livelli attuali. Tuttavia, riteniamo che ciò non pregiudichi il potenziale in termini di rendimento totale di queste obbligazioni. Con i fondamentali ancora solidi, l’appetito apparentemente vorace degli investitori nei confronti dell’offerta e le banche centrali ancora in modalità espansiva, è difficile essere sottopesati. Questo scenario richiede un’elevata selettività e una gestione attiva delle partecipazioni per rating, paese e settore, al fine di evitare gli ineluttabili problemi che potrebbero sorgere nei prossimi 12 mesi. La nostra priorità resta evitare le società e i settori a rischio (a causa di sottoperformance idiosincratiche, sfide strutturali o management più aggressivo) e integrare quanto più rendimento possibile nel portafoglio senza mettere a rischio i rendimenti derivanti da perdite su crediti o da un incremento degli spread. Continuiamo a individuare migliori opportunità nei titoli statunitensi e nelle banche europee per quanto riguarda le obbligazioni denominate in euro, anche se abbiamo ridotto selettivamente le posizioni di sovrappeso a fronte delle sovraperformance.
Il credito cartolarizzato rimane il nostro sovrappeso preferito. Ma anche in questo caso, la recente sequenza ininterrotta di ottimi rendimenti va erodendo la performance relativa e assoluta. Sebbene molte componenti di questo settore (titoli garantiti da ipoteche commerciali, titoli garantiti da ipoteche residenziali, titoli garantiti da collaterale) appaiano interessanti a parità di rating rispetto al credito, gli spread assoluti, così come nel credito, si stanno avvicinando (in termini storici) a livelli tali da rendere meno interessante un posizionamento lungo. Ciò detto, riteniamo che le dinamiche tecniche e i fondamentali rimangano interessanti. Le nuove emissioni ricevono spesso richieste di sottoscrizione in eccesso, rendendo difficile l’accumulo di posizioni consistenti. Alla luce dell’attuale instabilità e incertezza in tutto il mondo, riteniamo che questo settore possa continuare a registrare buone performance. Nel settore dei titoli di agenzia, le emissioni a cedola più elevata continuano a essere interessanti rispetto a quelle investment grade e ad altre strutture cedolari di agenzia, e riteniamo che probabilmente faranno meglio dei Treasury USA. La selettività rimane fondamentale.
Le obbligazioni dei mercati emergenti hanno registrato buone performance all’inizio di febbraio, grazie al disinnesco (temporaneo) della guerra commerciale con il Messico. Quanto questo possa durare è una domanda aperta. Le probabilità che i dazi rinviati entrino in vigore restano molto elevate. Pertanto, non ci aspettiamo che l’attuale fase di sospensione della negatività o le recenti buone performance dei listini proseguano senza interruzioni. Ciò nonostante, riteniamo che i paesi con buone prospettive economiche, crescita discreta, inflazione in calo, rendimenti reali elevati e banche centrali disposte e in grado di tagliare i tassi d’interesse, malgrado i cambiamenti legislativi negli Stati Uniti, possano registrare buone performance. La selezione dei paesi e dei titoli rimane fondamentale. Monitoriamo le obbligazioni in valuta locale del Brasile in vista di un’evoluzione del quadro fiscale e monetario nel 2025. Riteniamo inoltre che alcuni paesi a più alto rendimento con legami commerciali più deboli con gli Stati Uniti, come l’Egitto, continueranno probabilmente a registrare performance relativamente migliori.
Nei mercati valutari, è probabile che il dollaro USA mantenga la sua forza nei prossimi mesi, nonostante la recente correzione dopo il rinvio dei dazi su Messico e Canada. Ed è probabile che la debolezza del dollaro sia transitoria. Sebbene la valutazione del dollaro sia elevata, i fondamentali che lo sostengono rimangono intatti, mentre gran parte delle altre valute mondiali soffre di problemi ben più gravi. Un’eventuale politica doganale aggressiva da parte degli Stati Uniti accentuerebbe la forza del dollaro, soprattutto qualora gli altri paesi lasciassero deprezzare le loro valute per compensare l’aumento dei dazi. Tuttavia, i limiti di questa visione ottimistica potrebbero essere rappresentati da un deterioramento del mercato del lavoro statunitense, da un indebolimento generale della crescita o da una diminuzione della fiducia nella politica di bilancio degli Stati Uniti. L’economia statunitense prospera grazie agli afflussi di capitale, immagine speculare del disavanzo commerciale. Se gli investitori non statunitensi perdono fiducia negli Stati Uniti, il finanziamento del forte aumento degli investimenti e degli alquanto smisurati disavanzi del settore pubblico potrebbe diventare problematico. Un tale epilogo potrebbe indurre la Fed a diventare più aggressiva nel tagliare i tassi d’interesse visto il suo duplice mandato. La causa più probabile di una discesa del dollaro sarebbero gli eventuali problemi sul versante statunitense dell’equazione. Tuttavia, vista l’imminente applicazione dei dazi, questo sembra uno scenario improbabile. Riteniamo sensato evitare posizioni di sottopeso nel dollaro statunitense rispetto ad altre valute dei mercati sviluppati. Detto questo, consideriamo vantaggiose anche posizioni più idiosincratiche in alcune valute emergenti. La parola chiave è “selettività”.
Tassi d’interesse/Tassi di cambio dei mercati sviluppati
Rassegna mensile
A inizio gennaio i rendimenti dei titoli di Stato dei mercati sviluppati sono saliti, proseguendo la correzione di dicembre. Successivamente, l’IPC statunitense leggermente inferiore al previsto e le scontate aspettative sulle banche centrali hanno aiutato i mercati a riprendersi e chiudere il mese a livelli pressoché invariati. Le curve dei rendimenti hanno continuato a irripidirsi in Europa, ma sono rimaste perlopiù invariate negli Stati Uniti. Come previsto, in occasione della riunione del FOMC di gennaio, la Fed non è intervenuta sui tassi d’interesse e il suo presidente, Jerome Powell, ha indicato che non vi è alcuna urgenza di operare altri tagli. I dati economici negli USA sono rimasti positivi, con la creazione di 256.000 nuovi posti di lavoro a dicembre e un ulteriore calo dell’inflazione, in particolare nelle componenti dei servizi e degli alloggi. Tuttavia, vista la resilienza della crescita, i mercati si aspettano che la Fed effettui il prossimo taglio dei tassi solo a giugno.
Sull’altra sponda dell’Atlantico, la Banca centrale europea ha tagliato i tassi di interesse, come previsto, e non ha escluso un ulteriore allentamento, confermando la tesi secondo cui l’inflazione starebbe progressivamente tornando sotto controllo nonostante i timori che aleggiano sugli scambi commerciali globali. I dati economici hanno evidenziato un andamento leggermente migliore del previsto, ma continuano a esprimere livelli di crescita modesti. Le indagini PMI continuano a indicare che il settore manifatturiero, soprattutto in Germania e in Francia, è in recessione, ma ciò è compensato dalla solida crescita nel settore dei servizi, sostenuta dalla forte espansione del reddito dei nuclei familiari. Il mercato sconta altri tagli dei tassi per 85 pb da parte della BCE nel 2025 poiché gli attuali tassi di riferimento sono ritenuti restrittivi, i rischi per la crescita sono sempre più sbilanciati al ribasso e l’auspicio è che l’inflazione continui ad avvicinarsi al target. Nella prima metà del mese, i Gilt hanno seguito la tendenza globale all’aumento dei tassi di interesse, ma sono riusciti a sovraperformare lievemente i Treasury USA nella seconda metà del mese in quanto i dati sull’inflazione di dicembre sono risultati inferiori alle attese e quelli sulla crescita in generale hanno sorpreso al ribasso.
Sui mercati valutari, il dollaro statunitense si è mosso in modo speculare ai differenziali dei tassi di interesse, rafforzandosi all’inizio del mese prima di indebolirsi di fronte al calo dei rendimenti USA. La crescita più sostenuta negli Stati Uniti e la performance del mercato azionario hanno supportato il dollaro, ma anche l’assenza dei dazi del primo giorno dell’amministrazione Trump ha portato a un indebolimento, in particolare rispetto ai partner commerciali chiave. Lo yen ha beneficiato del calo dei rendimenti e dei toni meno accomodanti della Banca del Giappone, mentre la sterlina e il dollaro canadese hanno perso terreno.
Prospettive
Nei mercati sviluppati, a parte il Giappone, abbiamo un posizionamento di duration complessivamente neutrale e restiamo esposti a un irripidimento della curva, in particolare negli Stati Uniti. Rimaniamo in sottopeso negli USA rispetto al Regno Unito e alla Nuova Zelanda, dove a nostro avviso le banche centrali verosimilmente taglieranno i tassi più di quanto i mercati non scontino attualmente. Confermiamo un sottopeso nei JGB e il posizionamento lungo nei tassi inflation breakeven giapponesi. Poiché la risalita dell’inflazione in Giappone sembra essere di natura strutturale e secondo la BoJ vi sono maggiori probabilità che l’economia manifesti dinamiche positive tra salari e prezzi, intravediamo un ciclo di rialzi più lungo rispetto alle attuali previsioni del mercato. Continuiamo a preferire il dollaro australiano e il dollaro statunitense al dollaro canadese e manteniamo inoltre un giudizio positivo sullo yen rispetto all’euro.
Tassi d’interesse/Tassi di cambio dei mercati emergenti
Rassegna mensile
Il debito dei mercati emergenti ha cominciato bene il nuovo anno, segnando una solida performance nei principali segmenti di questa asset class. Per gran parte del mese, le valute dei mercati emergenti si sono mosse al rialzo favorite dall’indebolimento del dollaro USA. Gli spread del credito sovrano si sono ridotti mentre quelli societari sono rimasti invariati, ma entrambi questi segmenti hanno beneficiato del calo dei tassi dei Treasury statunitensi. La Fed ha mantenuto i tassi invariati in occasione della prima riunione dell’anno, come ampiamente previsto. Trump ha avviato il suo mandato con una raffica di ordini esecutivi che hanno fatto aumentare la volatilità del mercato. La politica estera dell’amministrazione e il futuro dei dazi sono ancora incerti. La Colombia è rimasta momentaneamente intrappolata nel fuoco incrociato dei dazi in seguito a disaccordi sulle deportazioni statunitensi, ma dopo l’avvio di colloqui tra i due paesi i dazi sono stati sospesi. La banca centrale del Brasile ha innalzato i tassi per contrastare un’inflazione ostinata, mentre permangono i problemi legati alla spesa pubblica. Gli investitori restano riluttanti a investire nel debito dei mercati emergenti, come dimostrato dai deflussi registrati nel primo mese dell’anno dai fondi in valuta locale e in valuta forte.
Prospettive
Il debito dei mercati emergenti ha iniziato l’anno in territorio decisamente positivo, favorito dall’indebolimento del dollaro USA e dal calo dei rendimenti dei Treasury statunitensi. Anche se spesso le vicende politiche statunitensi non sono direttamente collegate ai mercati emergenti, le scelte politiche possono invece produrre effetti a catena. Il nostro processo d’investimento rimane incentrato sui fondamentali a livello dei singoli paesi. Pertanto, sebbene la politica estera e quella commerciale siano ancora incerte, monitoreremo questo impatto a livello geografico. Poiché la Fed ha assunto toni meno accomodanti, potremmo assistere a tagli dei tassi più selettivi da parte delle banche centrali dei mercati emergenti, ma i differenziali di rendimento reali tra i mercati emergenti e quelli sviluppati rimangono interessanti. Inoltre, la persistente debolezza del dollaro USA sarebbe un fattore positivo per le valute emergenti. La selezione geografica e la ricerca di opportunità d’investimento meno esposte alle politiche statunitensi saranno determinanti per generare performance nel segmento del debito dei mercati emergenti.
Credito societario
Rassegna mensile
A gennaio, gli spread del segmento investment grade europeo si sono ridotti, sostenuti da un robusto quadro tecnico. La domanda di asset rischiosi in generale è stata forte e gran parte delle operazioni sul mercato primario hanno evidenziato sia un consistente volume di ordini che premi limitati per le nuove emissioni. I mercati del rischio sono stati sostenuti anche da notizie favorevoli sul fronte dei dazi: vi è stata una netta reazione all’articolo del WSJ secondo cui nell’immediato l’amministrazione Trump non avrebbe adottato misure doganali. Tuttavia, i dazi annunciati l’ultimo giorno del mese e riguardanti Messico, Canada e Cina dovrebbero avere un impatto sui mercati. In ambito societario, sono iniziate le pubblicazioni degli utili del quarto trimestre. A un primo sguardo, pare che avremo a un altro trimestre senza eventi di rilievo, ma ottimo per le banche, senza alcun deterioramento significativo della qualità degli attivi o della generazione di reddito netto. Vale la pena notare che le aspettative sugli utili sono leggermente migliorate per i settori orientati alle esportazioni, come quello manifatturiero e quello dei servizi finanziari. Sul fronte delle fusioni e acquisizioni (M&A), l’attività nel settore bancario italiano è continuata con l’offerta da EUR 13,3 miliardi lanciata dal Monte dei Paschi per l’acquisizione della più grande concorrente nazionale, Mediobanca, che l’ha prontamente rifiutata. Man mano che le società pubblicano le loro relazioni, il mercato continua a ricercare con attenzione tendenze strutturali.
A gennaio, la performance dei mercati high yield globali e statunitensi è stata positiva in un contesto generale di forte domanda, un calendario di emissioni primarie che è andato lentamente accelerando e, nella seconda metà del mese, un lieve calo dei rendimenti dei Treasury USA a 5 anni e dei Bund tedeschi. A fronte di una carenza di emissioni e della consistente domanda nelle prime tre settimane dell’anno, il beta di qualità inferiore ha dato impulso alla performance. La dinamica è mutata nel corso del mese, quando un aumento del numero di finanziamenti legati alle acquisizioni ha riacceso il mercato primario, e le valutazioni nelle strutture con rating inferiore nel settore degli operatori via cavo e satellitari hanno subito leggere pressioni. A gennaio, la decisione della Fed di lasciare invariato il tasso di riferimento e quella della Banca centrale europea di ridurlo di un quarto di punto erano state ampiamente anticipate e hanno innescato una reazione limitata. Il mese si è chiuso con l’attenzione del mercato decisamente rivolta a una possibile imminente applicazione dei dazi.
A gennaio, le obbligazioni convertibili globali hanno generato ottimi rendimenti rispetto all’azionario e performance significativamente superiori a quelle di altre classi obbligazionarie. I rendimenti sono stati favoriti da solide performance negli Stati Uniti e in Asia dopo la correzione di dicembre. Dopo un dicembre molto vivace le emissioni sono risultate deludenti, attestandosi a quota USD 3,2 miliardi (pari a metà della media storica), anche a causa delle incertezze che hanno seguito l’insediamento di Trump. A gennaio, la decisione della Fed di lasciare invariato il tasso di riferimento e quella della Banca centrale europea di ridurlo di un quarto di punto erano state ampiamente anticipate e hanno innescato una reazione limitata. Il mercato delle obbligazioni convertibili ha conseguito risultati relativamente positivi dopo la correzione dei titoli tecnologici innescata da DeepSeek. Il mese si è chiuso con il mercato decisamente attento alle minacce di cambiamenti nelle politiche commerciali.
Prospettive
Guardando al futuro, il nostro scenario di base sul credito resta ottimista, suffragato dalle aspettative di un “soft landing”, da una politica fiscale che continua a sostenere crescita/occupazione/consumi e da fondamentali aziendali solidi, basati su strategie societarie a basso rischio. L’emissione netta gestibile e la forte domanda del rendimento “all-in” offerto dal credito IG dovrebbero creare dinamiche tecniche propizie. Guardando agli spread creditizi, riteniamo che il mercato offra del valore, ma riteniamo che il principale fattore di rendimento sia il carry e che ulteriori guadagni possano venire dalla selezione settoriale e, in misura crescente, da quella dei singoli titoli. Data l’incertezza del quadro dei fondamentali a medio termine, nutriamo una minore fiducia in un sostanziale restringimento degli spread.
Entriamo nel vivo del primo trimestre del 2025 con un giudizio relativamente bilanciato per il mercato high yield. Questo giudizio comprende la previsione di una volatilità episodica e la sobria consapevolezza che, sebbene i rendimenti rimangano storicamente interessanti, in termini di spread il mercato high yield offre prezzi vicini alla perfezione. Siamo giunti a questa conclusione dopo un’analisi approfondita di fattori quali l’evoluzione delle politiche monetarie delle banche centrali mondiali, la crescita economica statunitense e globale, la salute dei consumi, i fondamentali degli emittenti high yield, le condizioni tecniche e le valutazioni. In definitiva riteniamo che, in media, il rendimento compensi in modo interessante il rischio di credito sottostante, ma che perseguire il rischio insito nelle fasce di rating più basse porterà a risultati punitivi.
Rimaniamo ottimisti circa le prospettive del mercato globale delle obbligazioni convertibili in questo inizio di febbraio. I fattori tecnici sono solidi, in quanto le obbligazioni convertibili hanno mantenuto un profilo bilanciato, i tassi d’interesse restano relativamente alti, le valutazioni azionarie sono aumentate nel 2024 e le società continuano ad avere bisogno di finanziamenti. L’emissione di nuove obbligazioni convertibili è stata sostenuta nel 2024 e prevediamo che continuerà a esserlo in parallelo con la moderata riduzione dei tassi d’interesse ad opera delle banche centrali mondiali e con la scadenza delle obbligazioni emesse durante la pandemia di Covid-19. Infine, ci aspettiamo che la volatilità aumenti in questo nuovo anno, dato che le tensioni geopolitiche e regionali permangono e i mercati sono impegnati a metabolizzare le misure varate dall’amministrazione Trump che si accinge a insediarsi.
Prodotti cartolarizzati
Rassegna mensile
A gennaio, gli spread degli MBS di agenzia statunitensi si sono allargati di 3 pb e sono ora a +138 pb rispetto ai Treasury USA. Se consideriamo la notevole compressione degli spread avvenuta in altri settori del credito, gli MBS di agenzia rimangono uno dei pochi segmenti obbligazionari con valutazioni interessanti. A gennaio le posizioni in MBS della Fed si sono ridotte di 27,5 miliardi di dollari, scendendo a 2.210 miliardi, e sono ora 486,5 miliardi di dollari più basse rispetto al picco del 2022. Dopo una lieve flessione delle loro posizioni in MBS a dicembre, le banche statunitensi hanno proseguito la tendenza a un progressivo aumento: a gennaio queste posizioni sono aumentate di 6 miliardi di dollari, a 2.649 miliardi. L’esposizione totale del settore agli MBS rimane comunque inferiore di 323 miliardi di dollari a quella di inizio 2022. Nonostante gli elevati livelli di offerta, a gennaio gli spread dei titoli di credito cartolarizzati si sono notevolmente compressi. Tuttavia, gli spread delle obbligazioni societarie IG statunitensi e gli spread degli MBS di agenzia statunitensi sono rimasti invariati oppure si sono leggermente allargati. Dopo il rallentamento di dicembre, l’offerta di titoli cartolarizzati è stata molto abbondante nel primo mese dell’anno, grazie soprattutto ai volumi modesti registrati durante le festività natalizie e in attesa del nuovo anno. Tale offerta è stata ben assorbita e soddisfatta grazie a una forte domanda.
Prospettive
Ci attendiamo un restringimento degli spread degli MBS di agenzia statunitensi, prevedendo un aumento dei flussi da parte delle banche e degli investitori orientati al valore relativo, attratti dall’interessante profilo di rendimento di questo segmento. Ci aspettiamo che gli spread dei crediti cartolarizzati, attualmente prossimi agli spread degli MBS di agenzia, si attestino o si avvicinino ai minimi. I settori del credito cartolarizzato sono stati tra quelli che hanno realizzato le performance migliori sia nel 2024 che nel primo mese del 2025 e riteniamo che tale tendenza proseguirà di qui a fine anno. Riteniamo che nei prossimi mesi i rendimenti giungeranno principalmente dal carry dei cash flow, visti i rendimenti più elevati a inizio febbraio, anche se prevedibilmente un possibile calo dei tassi darebbe un ulteriore impulso. Restiamo del parere che i livelli dei tassi attuali rappresentino un problema per molti debitori e che continueranno a erodere i bilanci delle famiglie, mettendo sotto pressione alcuni ABS dei beni di consumo, in particolare quelli che riguardano debitori con redditi bassi. Anche il settore immobiliare commerciale continua a risentire dei tassi di finanziamento attuali. A nostro avviso, il settore dei titoli garantiti da ipoteche residenziali è per ora quello che offre le opportunità più interessanti in tutte le fasce di rating, mentre siamo più cauti nei confronti degli ABS e dei CMBS con rating più basso. Rimaniamo ottimisti sulle valutazioni degli MBS di agenzia, che restano interessanti rispetto agli spread delle società investment grade e ai loro spread storici.